Giorgio Perlasca (Como, 31 gennaio 1910 – Padova, 15 agosto 1992) è stato un funzionario, filantropo e commerciante italiano. Nell'inverno del 1944, nel corso della seconda guerra mondiale, fingendosi Console generale spagnolo salvò la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi strappandoli alla deportazione nazista e all'Olocausto.
Biografia
Ancora infante si trasferì con la famiglia a Maserà, in provincia di Padova, per seguire il padre Carlo trasferitosi per motivi di lavoro. In gioventù aderì in modo convinto al Partito Fascista e prese parte come volontario alla guerra d'Etiopia e poi alla guerra civile di Spagna, nel Corpo Truppe Volontarie, a fianco dei nazionalisti del generale Francisco Franco, dove rimase come artigliere fino al termine del conflitto, nel 1939, quand'era ventinovenne.
Al principio della seconda guerra mondiale, Perlasca si trovò a lavorare prima in Jugoslavia e, dal 1942, in Ungheria a Budapest, in qualità di agente venditore per una ditta di Trieste, la SAIB (Società Anonima Importazione Bovini), con permesso diplomatico. Il giorno dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) si trovava ancora nella capitale ungherese e, prestando fedeltà al giuramento fatto al Re, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Per questo motivo si trovò a essere ricercato dai tedeschi e fu costretto a trovare rifugio presso l'ambasciata spagnola.
Grazie a un documento che portava con sé attestante la partecipazione alla guerra civile spagnola e che gli garantiva assistenza diplomatica, ottenne dall'ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli, intitolati a «Jorge Perlasca». Tra le altre mansioni, fu impegnato con l'ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati in apposite «case protette» dalla copertura diplomatica, dietro il rilascio di salvacondotti.
Tale operazione era stata organizzata con la collaborazione di alcune ambasciate di altre nazioni e una generale tolleranza del governo ungherese. Quando nel novembre 1944 Sanz Briz decise di lasciare Budapest e l'Ungheria per non riconoscere il governo filonazista ungherese, Perlasca decise di restare e spacciarsi come sostituto del console partente, all'insaputa dello stesso, redigendo di suo pugno la nomina a diplomatico, con tanto di timbri e carta intestata.
Da quel momento Perlasca si trovò a gestire il "traffico" di migliaia di ebrei, nascosti nell'ambasciata e nelle case protette sparse per la città, condividendo gli sforzi del diplomatico svedese Raoul Wallenberg e del nunzio apostolico Angelo Rotta. Tra il 1º dicembre 1944 e il 16 gennaio 1945, Perlasca rilasciò migliaia di finti salvacondotti che conferivano la cittadinanza spagnola agli ebrei, arrivando a strappare letteralmente dalle mani delle Croci Frecciate i deportati sui binari delle stazioni ferroviarie.
Impedì inoltre l'incendio e lo sterminio nel ghetto di Budapest, con 60.000 ebrei ungheresi, intimando direttamente al ministro degli interni ungherese una fittizia ritorsione legale ed economica spagnola sui circa 3000 cittadini ungheresi - in realtà poche decine - presenti in Spagna. Curò infine personalmente l'organizzazione e l'approvvigionamento dei viveri, recandosi ogni giorno presso le abitazioni, e utilizzando gli scarsi fondi dell'ambasciata, poi i propri e quindi studiando e applicando un sistema equo di autotassazione sui rifugiati. Grazie all'opera di Perlasca, 5.218 ebrei furono direttamente salvati dalla deportazione. Dopo l'entrata a Budapest dell'Armata Rossa, Perlasca dovette abbandonare il suo ruolo di diplomatico spagnolo, in quanto filo-fascista e perciò ricercato e arrestato dai sovietici.
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