Cesare Zavattini (Luzzara, 20 settembre 1902 – Roma, 13 ottobre 1989) è stato uno sceneggiatore, giornalista, commediografo, narratore, poeta e pittore italiano.
È universalmente noto soprattutto per essere stato uno dei maggiori esponenti del neorealismo cinematografico.
Biografia
Nato a Luzzara (RE), comune rivierasco del Po, frequentò le scuole elementari dapprima a Luzzara poi a Bergamo, dove conseguì anche la licenza ginnasiale, quindi proseguì gli studi ad Alatri (FR) presso il celebre liceo classico Conti Gentili del quale fu anche bibliotecario[1]. Nella cittadina laziale trascorse tre anni che furono per lui «estremamente interessanti».
Dopo il liceo tornò in Emilia. Si iscrisse alla Facoltà di Legge dell'Università di Parma. La sua più grande passione fu però la scrittura: nel 1928 intraprese a Parma la carriera giornalistica. Il suo esordio giornalistico sulla Gazzetta di Parma è datato 19 agosto 1926.
Successivamente si trasferì a Milano, collaborando a vari giornali.
Dal 1936 al 1940 scrisse per la rivista romana Marc'Aurelio, tenendo una rubrica dal titolo "Cinquanta righe circa".
Nel 1937 fondò a Milano il Bertoldo, fortunata rivista satirica edita da Rizzoli Editore, che però non diresse mai per contrasti con Rizzoli[senza fonte].
Passò poi alla concorrente Arnoldo Mondadori Editore, dove assunse l'incarico di direttore editoriale (fino al 1939). Fondò un nuovo giornale umoristico, il Settebello, che uscì nel 1939 sotto la direzione collegiale Zavattini-Achille Campanile.
La sua attività di narratore, per lo più umoristico, satirico, ironico, aveva preso l'avvio nel 1931 con l'opera Parliamo tanto di me, che riscosse uno straordinario successo. Scrittore non sempre facile da inquadrare nelle "correnti" del Novecento, autore fortemente critico verso la società, osservata tanto nei suoi aspetti dolorosi quanto in quelli umoristici, Zavattini costituì un fenomeno particolarissimo nell'ambito della letteratura italiana del Novecento. Nelle sue prime opere, dal 1931 al 1943, in un'epoca condizionata dal regime fascista, Zavattini («Za» per gli amici) presentò, in forme e contenuti inconsueti, il rapporto tra realtà e fantasia, cercando di privilegiare la prima attraverso originali mediazioni con la seconda. Oltre al libro d'esordio Parliamo tanto di me, i suoi primi e più noti lavori letterari sono stati:
I poveri sono matti, del 1937,
Io sono il diavolo (1941),
Totò il buono (1943),
Straparole (1967).
Nel 1934 si avvicinò al mondo del cinema. Da quell'anno, oltre alla produzione letteraria e a quella pubblicistica, cominciò a dedicarsi con assiduità alla settima arte come soggettista e sceneggiatore. Nel 1939 incontrò Vittorio De Sica, con cui realizzò una ventina di film, tra i quali capolavori del neorealismo come:
Sciuscià (1946),
Ladri di biciclette (1948),
Miracolo a Milano (1951, tratto dal suo romanzo Totò il buono),
Umberto D. (1952).
Tra i registi del cinema italiano ed internazionale con i quali Zavattini lavorò nei suoi oltre 80 film troviamo: Michelangelo Antonioni, Hall Bartlett, Alessandro Blasetti, Mauro Bolognini, Mario Camerini, René Clément, Giuseppe De Santis, Federico Fellini, Pietro Germi, Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Elio Petri, Dino Risi, Roberto Rossellini, Mario Soldati, Luchino Visconti o Damiano Damiani in L'isola di Arturo 1962.
Zavattini si distinse, dunque, per la produzione copiosissima di soggetti cinematografici e per l'attività instancabile volta al rinnovamento del cinema, una forma d'arte che egli considerava duttile e popolare, che avrebbe voluto piegare al rinnovamento civile della società, sottraendola alle lusinghe del mercato. Non va dimenticata infatti la sua opera costante volta a svecchiare anche altre forme di espressione artistica. Sul piano letterario l'apogeo critico lo raggiunse nel 1970 grazie alla pubblicazione di NON LIBRO + disco, un volumetto estroso ed anticonformista, scritto appositamente per non essere letto, cui era allegato un 45 giri. L'opera fu particolarmente cara all'autore sebbene molto contestata, ma l'elemento di rottura in essa preminente finì poi per stemperarsi nel clima convulso dei primi anni settanta.
Zavattini si cimentò inoltre e fruttuosamente nella poesia. Una citazione particolare spetta al poemetto Toni Ligabue (1967), sull'infelice pittore "naif" Antonio Ligabue e alla serie di poesie scritte nel dialetto della sua terra, dal titolo Stricarm' in d'na parola (Stringermi in una parola), un libro che Pasolini definì "bello in assoluto", uscito a Milano, nel 1973.
Oltre che scrittore, sceneggiatore di fumetti e soprattutto sceneggiatore cinematografico, commediografo, poeta, animatore culturale in Italia e all'estero, promotore di cooperative culturali e di circoli del cinema, Zavattini fu anche pittore sensibilissimo.
Nel 1955, a coronamento di un impegno pluridecennale, gli venne assegnato il "Premio mondiale per la Pace". Nel 1973 riceve il Premio simpatia, si tratta dell'Oscar capitolino per la solidarietà[3]. Nel 1982 diresse ed interpretò, ormai ottantenne, il suo unico film da regista: La Veritàaaa.
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